Dal genocidio del Rwanda al Ngorongoro
Lascio l’Uganda, ma stavolta lascio anche un pezzo del mio cuore, quella sua terra rossa, così rossa che a volte sembrava verniciata, mi ha proprio stregato e come una calamita non vuole staccarsi. Pochi chilometri ed eccomi in Rwanda, un paese tristemente famoso per il genocidio del 1994. Mi sorprende per l’ordine che noto per le strade ed anche il discreto benessere. E’ un paese giovane, molte cose sono state ricostruite dopo il genocidio e Kigali, la capitale, più che una città è un grande villaggio. Le strade sono sconnesse in terra battuta, ma è pulita ed ordinata. La visita al museo è un viaggio nel genocidio, il percorso, molto ben strutturato in una sequenza di sale che, con fotografie, articoli, resoconti e racconti di chi ha vissuto quei momenti da ambo le parti, ha aperto una finestra sopra una realtà rivelatasi molto più articolata, interessante e significativa di ciò che immaginavo. Lasciata la capitale arrivo a Kibungo, qui si trova il St Joseph, un complesso residenziale gestito da missionari protestanti. Il posto è carino, ma per lavarsi bisogna usare taniche d’acqua e la sera il generatore regala energia elettrica solo fino alle 22. La mia permanenza in Rwanda è già terminata, la sveglia suona alle 5.30 (ora del Rwanda, ore 4.30 di Tanzania e Uganda) quando ancora è tutto buio, partiamo senza fare colazione, quest’oggi la tappa più lunga e massacrante del viaggio. Impieghiamo circa 45 minuti solo per caricare i bagagli, è buio e non si vede quasi nulla! Alle nove del mattino siamo alla frontiera con la Tanzania, una fila lunghissima di camion sembra rallentarci, ma il nostro driver riesce a farci attraversare il confine in poco tempo. Comincia l’avventura tanzaniana!
E’ una giornata interminabile, sono le prime ore del pomeriggio quando arriviamo al molo di Busini. Adesso bisogna prendere il traghetto per attraversare il lago Vittoria. Arriviamo al camp Royal Sunset di Mwanza quando ormai è tarda sera, peccato perché il posto è davvero bello, localizzato direttamente sulle rive del lago Vittoria. Facciamo una buona scorta di viveri, nei prossimi giorni non avremo possibilità di fare spesa e ripartiamo verso la prima importante meta di questa avventura tanzaniana, ovvero il famigerato Serengeti. Solo pronunciarne il nome suscita in me una forte emozione, di tutti i parchi d’Africa questo è quello che desideravo visitare più di tutti. Questo luogo è davvero il regno incontrastato dei grandi felini, la natura selvaggia regna incontrastata. I suoi public campsite sono completamente aperti, non hanno recinzioni e di notte la probabilità di avere un felino gironzolare a pochi metri dalla tenda è un probabilità molto alta. Entriamo attraverso il Ndabaka gate e subito dinanzi ai miei occhi si presenta il famigerato Western corridor: un’immensa pista polverosa di quasi 150 chilometri che termina a Seronera. Pianure che si intervallano a piccole colline, durante il tragitto un’immensa mandria di bufali domina la scena, non so quanti siano stati, ma lo spettacolo è davvero incredibile. Arriviamo al camp quando è già buio, il camping non è altro che uno spiazzo nel cuore del Serengeti con bagni alla turca e docce con serbatoio, null’altro. Trascorriamo la serata intorno al fuoco con Joseph che ci racconto le sue esperienze wild, la notte scende profonda, il buio avvolge il campo, stanco trovo riparo nella mia tenda.
Il Serengeti è una sterminata di pianura, intervallata da alcune piccole colline, i Masai la chiamano la piana infinita. Possono trascorre ore senza avvistare quasi nessun animale, ma poi di colpo essere testimoni di una scena incredibile: un leopardo corre, insegue un'impala, pochi secondi, gli animali spariscono nel bush. E’ la dura legge della savana, la legge della natura selvaggia. Durante il giorno ci spostiamo ed arriviamo, dopo un’intensa giornata, al camping di Lobo, situato su una collina dalla quale si gode di un panorama incredibile. Lobo è un posto fantastico con scenari molto diversi da Seronera, dal camp si possono osservare tanti animali tra cui scimmie, bufali e zebre. Il sole è ancora alto e decidiamo di fare un piccolo game drive nel territorio circostante. Nel bush notiamo un leone, ha il viso stanco, è anziano, porta i segni di grandi battaglie. Con questa scena si chiude la mia esperienza al Serengeti, un parco incredibile nel quale la natura selvaggia regna incontrastata.
Gli scatti del fotografo Art Wolfe mi avevano fatto innamorare del lago Natron, il particolare colore rosso dell’acqua, era rimasto impresso nella mia mente, volevo guardarlo con i miei occhi. Questa particolarità della natura è data dalla presenza di alcuni minerali che si concentrano in queste acque per l’elevato tasso di evaporazione. Colonie di cianobatteri che hanno pigmenti rossi, donano il colore rosso all’acqua del lago creando un incredibile colpo d’occhio. La strada che percorriamo è molto impegnativa, anche Joseph, il nostro driver, non sa quanto tempo ci vorrà per arrivare al lago. In alcuni tratti sembra di essere sulla luna ed approfittiamo per fare diverse soste ed immortalare il paesaggio. Sostiamo per pranzo in un villaggio Masai, il capo villaggio mi invita nella sua casa e mi spiega, per grandi linee, come si svolge la vita quotidianamente. L’interno della casa è completamente buio, ho difficoltà a muovermi, la padrona di casa mi prende per il braccio e mi guida. L’unica cosa che riesco a vedere sono dei carboni accesi, mi siedo su un tronco d’albero ed il capo villaggio, orgoglioso, mi mostra alcune ossa di leone, dicendomi che è stato lui ad ucciderlo. L’incontro è davvero interessante, resterei ore ad ascoltare i suoi racconti, ma Joseph viene a chiamarmi dicendo che dobbiamo rimetterci in viaggio.
Le mosche sono ovunque ed ogni componente del villaggio se ne porta addosso un numero indefinito. Joseph mi racconta che a causa di ciò molti giovani Masai nella crescita hanno serissimi problemi alla vista. Quest’ultimi, inoltre, sembra che non amino affatto lavarsi e ciò a prescindere dal fatto che l’acqua sia vicina o lontana dal villaggio. Arriviamo al camp del lago Natron quando ormai è quasi buio e godiamo dello splendido tramonto solo dal finestrino del camion. Il camping, gestito dai Masai, è situato sulla collina dominante del lago Natron. Fa caldo e decido di non montare la tenda, stendo materassino e sacco a pelo direttamente sul prato verde, godendomi il cielo stellato. L’alba sul lago Natron è incredibilmente bella, sono le cinque del mattino quando apro gli occhi, trovo i Masai già pronti per accompagnarmi a visitare il lago. Da lontano ammiro il cono perfetto dell’Ol Doinyo Lengai, la montagna sacra ai Masai, un vulcano ancora attivo. I Masai in periodi di carestie vi si recavano in processione per rendere omaggio a Lengai la divinità che vi abitava.
Arriviamo alle rive del lago dopo circa trenta minuti, lungo il tragitto carcasse di animali morti sparsi qui e là, la vita qui nel periodo di siccità deve essere davvero dura. Gli immancabili fenicotteri rosa rendono il paesaggio una cartolina incredibile, peccato non potersi avvicinare molto, le rive del lago sono fangose. Tornati al camping, smontiamo le tende e riprendiamo la strada verso la città di Mto Wa Mbu. Tutta l’area circostante il lago è di fatto governata dai Masai, difatti per uscire bisogna attraversare ben 3 gate, tutti a pagamento.
L’ultima tappa di questa incredibile cavalcata africana è arrivata. Come disse un caro amico, non esiste luogo migliore per chiudere un viaggio in Tanzania che non sia il cratere del Ngorongoro. Situato a circa 2400mt slm è una delle meraviglie naturali più belle al mondo, l’escursione termica tra la notte ed il giorno è davvero notevole. Arriviamo al camping Simba che è già buio, montata la tenda, mi ritrovo assieme a tanti altri viaggiatori nella sala comune per la cena.
Trascorro la notte più fredda del viaggio, ma fortunatamente il sacco a pelo fa il suo egregio dovere. La sveglia quest’oggi ha un sapore dolce ed amaro, è l’ultimo game drive di questo entusiasmante tour. Lasciamo il nostro fidato camion 4x4 e con delle jeep a nolo riscendiamo lungo il costone del cratere, arrivando nell’immensa piana di circa 22kmq. La fauna è impressionante, ovunque mi giri ci sono animali, solitari o in gruppo: leoni, sciacalli, ippopotami, zebre, gnu, bufali, elefanti, iene e rapaci. Sembra di essere in un documentario del National Geographic, è un posto unico al mondo. Il bordo del cratere è alto 2300 metri, il fondo, circondato da pareti a strapiombo, 1700 metri. Sulle pareti esterne c’è una fitta foresta, il fondo invece è savana aperta, piena zeppa di animali. Con queste scene si conclude il mio viaggio in Tanzania, epilogo di una grande traversata cominciato un mese fa in Kenia e che mi ha visto attraversare anche Uganda e Rwanda. E’ stato un viaggio nell’Africa della natura più maestosa e strabiliante, un viaggio che non è facile da raccontare, perché suoni, colori, odori e animali vanno sentiti, visti e vissuti. Impossibile descrivere gli spazi, i paesaggi, l’incredibile quantità di scene e di animali viste.