Il Paese dei laghi e dei vulcani
Finalmente Nicaragua! Il Centro America ancora una volta mi apre le
sue braccia.
Atterro a Managua e, dopo aver espletato le formalità doganali, mi muovo verso la città coloniale di Leon. Il tragitto offre subito scorci stupendi: i vulcani Momotombo e Momotombito dominano la scena. Si dice che Leon sia la brutta copia di Granada, forse anche a causa del Governo che non sovvenziona i restauri del centro storico, ma a me bastano poche ore per innamorarmene. Adoro le città un po’ decadenti, quelle città che riescono ancora a mantenere un’identità, ed è per questa ragione che Leon colpisce il mio cuore. Camminare per le sue strade è come leggere un libro a cielo aperto: la storia di questa città e del Nicaragua si leggono sulle mura delle case attraverso i murales. Molte abitazioni sono ancora costruite in Taquezal, ovvero legno intervallato da sabbia; gli anziani li trovi lungo il marciapiede, sorridenti e pronti a raccontarti la loro storia. La città è piccola e così colpo mi ritrovo nella pizza centrale, dove è ubicata l’antica cattedrale: bellissima e luminosa, con il suo essere totalmente bianca, e maestosa tanto da essere la più grande del Centro America. Mi dicono che sia possibile salire sul tetto e, allora, non perdo occasione! La scala a chiocciola, molto ripida e talmente stretta che consente di salire o scendere solo ad una persona per volta. Arrivo sul tetto ed effettivamente godo di una splendida vista sulla città e sulla catena vulcanica vicina. E' per questo che il Nicaragua è anche chiamato il “Paese dei laghi e dei vulcani”.
Arriva la sera e continuo a gironzolare per la città. Arriva anche al fame e come da mia abitudine tento subito di provare il piatto tipico, eccol: si chiama Gallo Pinto. Una pietanza semplice ma originale composta di riso e fagioli neri, polpette di carne e un'insalata fredda di patate. Leon nasconde un’altra curiosità: il famoso Cerro negro, il vulcano più pericoloso del Nicaragua, è proprio qui a due passi dal centro. Grazie al jet lag non mi è difficile svegliarmi prestissimo e così alle 9 del mattino sono già alle pendici del vulcano. L’attrattiva principale del Cerro Negro è ridiscendere dalle sue pendici con uno slittino o con una tavola da snow. Noleggio subito l’attrezzatura e dopo circa un’ora di salita, a tratti ripida, sono in vetta. Tira molto vento e dopo aver aspettato il turno mi lancio a tutta velocità lungo le sue pendici, lunghe ben 500mt. Mi diverto tantissimo! Al di là del fatto che al mio arrivo a valle, la sabbia nera è praticamente entrata dappertutto. Rientro a Leon e dopo una veloce doccia riparto per Granada.
Questa città mi accoglie ancora sonnolenta, come
per tutti i paesi latini è l’ora della siesta. Il Parque Central è ancora poco
movimentato, qualche nuvola nel cielo nasconde il sole e così anche io ne
approfitto per sistemarmi in hotel e fare una doccia rinfrescante.
Oramai è sera ed esco per le vie del centro della
città, che adesso è viva, colorata, chiassosa, con le sue casette basse e
variopinte, le bancarelle di frutta tropicale e di empanadas, i taxi strombazzanti e le
magnifiche chiese color pastello. La via centrale, Calle La Calzada, è un
susseguirsi di locali animati con musica di vario genere, camerieri che ti
invitano a sedere nei vari ristorantini a e tanta gente allegra.
Granada, come Leon, sorge vicino ad un vulcano, il Masaya. Per conoscerlo ci vado in autobus, ma non con quelli turistici, bensì quelli del pueblo, quello nicaraguense! Un vecchio scuolabus giallo che lancia nell’aria nuvole di fumo nero e che arranca a fatica sulle stradine acciottolate, fermandosi ogni pochi metri, a raccogliere chiunque stia aspettando sul ciglio della strada. A poco a poco salgono uomini e donne, carichi di frutta e verdura, diretti nei vari mercati, nonché venditori ambulanti che con occhi dolci e stanchi propongono a tutti i passeggeri la loro variegata mercanzia. Arrivato in cima, lungo un’agevole strada asfaltata che serpeggia tra antiche colate di lava, mi ritrovo di fronte ad uno spettacolo mozzafiato: l’immenso cratere del vulcano sputa un fumo grigio di zolfo e vedo che la cresta è sovrastata dalla croce piantata nel terreno nel 1521 da Padre Boladilla. Le regole di sicurezza dicono che non si può stare qui più di 20 minuti a causa dei gas tossici ed infatti i miei occhi, seppur felici per il meraviglioso spettacolo, iniziano presto a bruciare e lacrimare.
Dopo aver
visitato l’intera area riprendo un altro bus e vado a Catarina, piccolo pueblo
famoso per il suo mirador. La vista spazia sull’incantevole laguna de Apoyo con
il vulcano Mombacho alla sua destra e l’immenso Lago Cocibolca sullo sfondo.
Dicono che nelle giornate più limpide si possa arrivare a vedere anche l’lsla Ometepe.
Torno a Granada giusto in tempo per arrampicarmi
sull’angusta scala a chiocciola che mi porta in cima alla torre della campane
della Iglesia Las Mercedes. Dall’alto di questo campanile ammiro i tetti bassi
della città e la meravigliosa cattedrale giallo ocra, ora baciata dal sole che tramonta in fronte con lo sfondo blu del lago Mar Dulce: per i miei
occhi, una cartolina indimenticabile. Appagato per
la vivace e intesa giornata, mi siedo in uno dei tanti localini lungo Calle La
Calzada, sorseggio un bicchiere di Flor de Cana, l’inconfondibile rum
nicaraguense, e respirando a pieni polmoni l’aria fresca, rifletto sul vero
senso del viaggiare: la scoperta.
Prima di lasciare Granada, mi regalo un
rilassante giro in barca sul lago. Le
Isletas, le piccole isole, sono circa un centinaio ( i nicaraguensi dicono 365),
e si trovano di fronte alla città.
Quelle disabitate sono state colonizzate
da uccelli e scimmie, le altre da ricchi nicaraguensi ed americani che vi hanno
edificato magnifiche ville.
Mi reco allora alla stazione degli autobus per prendere quello che va a San Jorge, paesino dal quale partono i ferries per l’Isola di Ometepe. Dopo un’ora di navigazione sono a Moyogalpa. Posati i bagagli in hotel, prendo un taxi per godermi il tramonto da Punta Jesus Maria. Le acque del lago non mi ispirano, ma in compenso il paesaggio è spettacolare con la vista sul vulcano Conception. Mi sveglio di buon mattino, quest’oggi è 31 dicembre ed ho pensato bene di fare un giro alla scoperta dell’isola. Pattuisco la cifra con un tassista e sotto un sole splendente, immerso nella natura e nel canto delle cicale, comincio il giro dell’isola. Prima tappa la Finca Magdalena. Il vulcano Concepciòn è ora così alle mie spalle: imponente, minaccioso, con le nuvole che ne coprono la cima. Il tempo scorre lento tra le piantagioni di caffè ma il sole, già alto, mi invita ad andare in spiaggia. La vicina playa Santo Domingo è incredibile, talmente grande che solo il sapore dell’acqua dolciastra mi conferma che sia un lago e non il mare. Il giro prosegue verso la Reserva Charco Verde ed ancora poi in una piccola laguna nascosta nella foresta: Ojo de Agua. A sentire quello che dice l’anziano bigliettaio, quest’acqua di origine vulcanica ha poteri miracolosi, basta immergersi una volta per ringiovanire 5 anni di età. Che dire, staremo a vedere!
Il mio giro dell’isola si conclude e lungo
la strada di rientro noto che al di fuori di tutte le case sono stati poggiati dei
fantocci su una sedia e perciò incuriosito, chiedo il motivo al mio autista che
mi risponde che usanza popolare vuole che si faccia un fantoccio da bruciare
poi allo scoccare del nuovo anno e che si crede serva per cancellare le cose
brutte del passato.
Oramai ci siamo, il nuovo anno sta per
arrivare, alcuni si preparano con fuochi
d’artificio, altri pronti a stappare una bottiglia di vino, altri ancora
tengono stretta tra le mani una bottiglia di rum. Protagonista assoluto infatti
è il Flor de Cana che viene bevuto da tutti i nicaraguensi in segno di buon
auspicio per l’anno nuovo. Per le strade è festa, il 2015 è arrivato!
La
notte festosa dura poco è così tempo di salutare Isla Ometepe. Alle otto del
mattino mi ritrovo all’imbarcadero pronto a rientrare sulla terra ferma. Seduto
sul mio seggiolino osservo l’isola farsi via via più lontana e penso che
sarebbe stato bello avere più tempo a disposizione per esplorarla, ma il
viaggio deve continuare. Le acque del lago sono calme ed il lieve beccheggio
della barca mi concilia il sonno, le palpebre si fanno pesanti e gli occhi mi
si chiudono a tratti. La cima del vulcano Concepciòn svanisce tra le nuvole
ovattate come un sogno che s’interrompe all’improvviso. Riprendo l’ennesimo
taxi collettivo ed in poco tempo sono a San Juan del Sur, la baia dei surfisti.
Tira tantissimo vento e dopo aver fatto un rapido giro della spiaggia proseguo
verso l’ultima meta del Nicaragua, Playa Coco che tutti mi hanno detto essere stupenda . Dopo
circa un’ora di strada sterrata eccola apparire dinanzi a me: sabbia finissima, bianca, mare azzurro
e palme a far da contorno… chi me ne aveva parlato aveva ragione, favolosa! Non
esiste modo migliore di cominciare l’anno! Eppure non mi accontento e visito anche
la vicina riserva di tartarughe. Non è
il periodo più florido ma, munito di luce rossa e con guida assistita,
gironzolo per la spiaggia alla ricerca di piccole tartarughe appena nate. Ne
vedo finalmente una e mi sorprendo di come, pur poter essendo troppo piccola
per sapere bene dove stia andando si dirige istintivamente verso le acque del
mare. Con questa splendida immagine termina il mio Nicaragua: una tartaruga appena
nata va alla scoperta del mondo che l’ha appena accolta, sente il richiamo del
mare, anche se ancora non lo conosce, ma
sente solo che deve andare lì! Questa è
la stessa sensazione che accompagna un
viaggiatore quando parte: a volte neppure conosce la meta, l’unico motivo che
lo spinge è la scoperta!