Racconti di viaggio India del nord

Namastè

Sono una viaggiatrice. Una di quelle vere, che partono per partire, una di quelle che non importa dove, basta andare.

L’India.

Una di quelle mete che “una volta nella vita...”.

Accompagno il primo gruppo da “tour leader ufficiale”. Il nord, il triangolo d’oro, il Taj Mahal, l’India che si conosce in foto ma é sempre stata così lontana. Perché è un viaggio che ti cambia, dicono, che non si può fare così, “tanto per”, bisogna essere pronti.

L’India del “Dio che bella!”, quella di Gandhi, di Madre Teresa, dello yoga, della spiritualità, dei colori, della povertà, della carità...e un’altra miriade di cose.

Ti parlano di tutto questo, della sporcizia, delle malattie. Ti dicono di stare attento a quello che bevi e a quello che mangi. Come quando parti per altri paesi “arretrati”..perché noi, che siamo arretrati in tante cose, siamo invece maniaci della pulizia, soprattutto...e qualsiasi posto é più sporco di casa. Infetto.

Sono una viaggiatrice zingara, abbastanza. Dormo ovunque se necessario, anche su di un materasso buttato per terra, con le giuste accortezze e con il mio sacco lenzuolo. Mi adeguo ai bagni diversi...ai prefabbricati montati sul retro di una capanna senza tetto, alle toilette pubbliche nelle stazioni, alle turche “dell’ autogrill” oltreoceano. Sono stata campeggiatrice, sono una ex scout... Ma nulla, nulla ti prepara all’India.

Nulla ti prepara alle montagne di spazzatura sparse ovunque, quintali di rifiuti putridi che ricoprono “la qualunque”: ogni corso d’acqua e di liquame che costeggia le strade, l’asfalto, i marciapiedi, qualsiasi cosa. La spazzatura crea strati talmente compatti che non ti accorgi nemmeno che lì sotto scorre un fiume. Miriadi d'involucri di ogni materiale che si mischiano a escrementi di animali di ogni tipo: mucche, capre, topi, piccioni, cani, oche, galline, cavalli, asini, scimmie e a volte elefanti che indisturbati e liberi partecipano e convivono con questa Babilonia di umanità assurda e delirante che occupa spazi troppo stretti e totalmente inadeguati. Tutti calpestano tutto, spesso a piedi nudi, noncuranti e ciechi di fronte a quello che non sanno vedere, né sentire. Perché il loro olfatto e i polmoni conoscono e accettano tutto questo ma il nostro no, si ribella immediatamente rendendoci difficile respirare senza iniziare a tossire nella speranza di far di nuovo spazio a un po’ di ossigeno.

Nulla ti prepara al rumore assordante, incessante, insopportabile di clacson modificati. Decibel pompati ridicolmente e ingiustificatamente che uniti a lamiere stridenti, bombe carta artigianali “arti-mutilanti”, petardi bastardi e invisibili ti stordiscono fino a farti perdere l’equilibrio, impedendoti di distinguere direzioni, parole e distraendoti dal pericolo vero e più vicino. Un “al lupo, al lupo” che si perde fra miriadi di avvertimenti futili e abitudinari.

Nulla ti prepara al fumo. Quello delle pentole che friggono oli decennali, dei forni tandoori che abbrustoliscono braci per naan e chapati, della combustione dei rifiuti e delle carogne, dello smog che copre anche il sole più tenace, dell’incenso per le preghiere che si sforza di mascherare tutto il resto, fallendo miseramente. E gli occhi bruciano e lacrimano. Facendo compagnia a gola, polmoni e narici che non troverebbero sollievo nemmeno mandando giù litri del miglior brodo di carne della nonna!

Nulla ti prepara alle persone, che mendicano, che fingono, che estorcono denaro con la scusa del “latte in polvere” per il bimbo che mai ne vedrà, perché a pochi mesi ha già gli anticorpi per combattere quello che noi in una vita di fermenti lattici non riusciremmo mai a prevenire. Alle persone di ogni età che ti assalgono per i “selfie” che mostrano agli amici su Facebook vantandosi delle loro conoscenze “pallide” e che diventano un “hi, I miss you” costante e quotidiano sulla tua bacheca, sul tuo Instagram, sul tuo messenger, che, se hai la malaugurata idea di accettare non si sa da dove tirano fuori figli, nipoti, cugini, zii, nonni, bisnonni, trisnonni che, uno per uno, reclamano il loro posto accanto a te per il quadretto che tramanderanno ai posteri. Alle persone che ti guardano e ti “sor-ridono”, stile giappo-namasténiani, continuando a fare su e giù con la testa a qualsiasi tua tentata richiesta esasperata del supporto più basilare (la carta igienica è un bene prezioso...) neanche fossero quei pupazzetti con le teste montate su molle che nei film ti sfottono dal cruscotto di un’auto sgangherata.

Nulla ti prepara alla delusione che provoca il tradimento da parte di chi, “sognando” l’India, pensavi di conoscere, aiutare, ascoltare, capire. All’assenza del vero, del profondo e spirituale animo povero ma nobile, accogliente, illuminante, saggio.

Nulla ti prepara all’assenza del silenzio e della meditazione.

Ho assaggiato l’India: quella che nasconde le sue bellezze esasperandoti e rendendoti cieco, quella “costruita per i turisti che la vogliono così”, mi dice uno di loro, quella mendicante, deturpata, disonesta, sporca, squallida e povera perché il turista è questo che cerca....

Vero, probabilmente vero, posso in qualche modo “capire”. Forse.

Anche se io non la voglio così, non mi piacciono le “costruzioni”, odio le imitazioni e il “teatro” mi annoia, mi innervosisce, mi stanca.

Questo viaggio è troppo lungo per me.

Poi mi siedo, nel lerciume, come fanno “loro” o gli attori, non so più distinguere. E a un tratto non sento più il rumore e la puzza e i ragazzi seduti accanto a me non mi chiedono soldi e nemmeno selfie. Hanno la faccia di chi si chiede “cosa ci fa lei seduta qui, così?”.


Ho dato retta al tizio che mi ha detto di fermarmi, di osservare. Mi ha detto che il Gange è putrido perché lo guardo con la mente, non lo ascolto, ed è la mente che decide come e di cosa ammalarmi. É lei che mi convince, prevenuta, della possibile pandemia e controlla il corpo e le sue reazioni. Mi dice che se apro il mio cuore come fanno loro, quelli lì davanti, immersi totalmente nel rito della purificazione e della preghiera, nulla può nuocermi, perché la mente é libera e la “fede” ti protegge da ogni germe e ogni epidemia in agguato in quello specchio denso di melma e di fango e detriti illuminati da stonanti candeline floreali che decorano la superficie a pois fucsia e arancione.

Forse lui ci crede perché il cannone d’Erba che sta fumando farebbe resuscitare anche Bob Marley ma...non so perché, vedo qualcosa di diverso (e non sono draghi!).

Non sento più tutto quel rumore quando arriviamo a Calcutta. E nemmeno quando torniamo a Delhi. Non sento più nemmeno quella puzza insopportabile. E penso che forse potrei dare una seconda chance a questa parte di mondo, forse non mi sono “fermata” abbastanza.

Riparto stranamente dispiaciuta, questo sarebbe potuto essere l’inizio del “Viaggio”, ma non c’è più tempo.

L’India.

Non userei mai l’aggettivo “bella” per descriverla. Userei piuttosto: complicata, diversa, controversa, rumorosa, sporca, affollata, disorganizzata, disonesta, tradizionalista, conservatrice....

Ma, tornerò ad “ascoltarla” con un’ altra mente e con un altro cuore, al momento giusto, un giorno...

Namastè

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