I colori del Guatemala e la barriera corallina del Belize
Colori,
allegria, vivacità, uno degli ultimi baluardi della vera cultura indio
centroamericana, questo è il Guatemala.
Dopo ben tre scali aerei, arrivo a Guatemala city, l’omonima capitale.
All’uscita dell’aeroporto trovo ad aspettarmi il bus diretto a
Chichicastenango. Qui gli autobus sono un istituzione: stracolmi di gente,
precari ma affascinanti e molto colorati, dopo poche ore arrivo a destinazione.
Si dice che i veri guatemaltechi vivono qui: lineamenti marcati, denti d'oro,
abiti colorati che sembrano quasi sdrammatizzare la loro povertà e sul volto
uno strano mix di rassegnazione e felicità. Il paesino è davvero minuscolo e lo
standard degli alberghi molto basso, l’unico degno di chiamarsi tale è il San
Tomas. Questo edificio sembra un vecchio convento, ed è persino diventato un
luogo d’interesse in città, anche se in realtà è una nuova costruzione con
lunghi corridoi stracolmi di statue religiose, nicchie e addobbi di chiesa, una
moderna piscina ed un ottimo ristorante. Il centro paese si sviluppa intorno
alla piazza della cattedrale Santo Tomas. Davanti alla chiesa una scalinata in
pietra accoglie i credenti che nella parte più bassa bruciano incensi e
raccolgono offerte, su quella più alta fanno roteare barattoli in latta
contenenti incenso. Quest’ultimi, per pochi soldi raccolgono le richieste dei
fedeli, ponendosi come intermediari tra loro e Dio. Entro in chiesa dalla
porta secondaria, trovo sette altari in legno anneriti dal fumo, molti pregano:
alcuni per i bimbi, altri per le partorienti, oppure per la raccolta del mais,
o addirittura per gli ubriachi. Nel corridoio centrale della chiesa, 7 basse
pedane in legno raccolgono le offerte, ci sono candele, petali di fiori e
bottiglie di liquore! Le candele sono di diversi colori, sembra che ogni colore
equivalga ad una richiesta specifica. Mi accorgo di come la religione cattolica
sia fortemente presente qui, ma al contempo la popolazione abbia mantenuto le
credenze indigene. La mia visita termina al cimitero, ebbene sì il cimitero,
chi lo avrebbe mai detto! Ma quello di Chichi è davvero incredibile: tombe e
cappelle sono un susseguirsi di colori, creano un effetto meraviglioso,
strappando un sorriso ed anche un pizzico di allegria. Le tombe e le cappelle
hanno i colori più disparati, si va dal verde al rosa, al giallo e, per i più
eccentrici, viola e fuxia! Lascio questo stravagante e bizzarro paesino e mi
soffermo a riflettere su quanto la diversità nel mondo sia davvero un valore
che mai dovremmo perdere, maledetta globalizzazione.
Il
viaggio prosegue verso Antigua, la vecchia capitale del Guatemala. È sera
quando arrivo e la scarsa luce dei lampioni mi presenta una deliziosa
cittadina: case basse coloniali, colorate, strade che tagliano da est a ovest,
avenidas da nord a sud, è davvero facile orientarsi. Il centro città è
costituito dal Parque Central, la cattedrale e i palazzi del potere, le strade
sono fatte con ciottoli in pietra, gli edifici non vanno oltre il primo piano e
tutti presentano facciate colorate. Come tutte le città colonizzate dagli
spagnoli, anche Antigua è piena di chiese cattoliche, le più importanti sono la
chiesa della Merced e quella di San Francisco dove si trova la tomba di San
Josè di Bethancourt, beatificato da Giovanni Paolo XXIII. Doverosa la
visita al mercato ed anche quello di Antigua non si smentisce: frutta di tutti
i tipi, leccornie varie, ma ciò che distoglie il mio sguardo da tutto sono le
decine di autobus colorati che attendono i campesinos per riportarli ai loro
villaggi. Mi fermo a parlare con un autista e chiedo, per curiosità, perché gli
autobus siano multicolori, lui con faccia sorridente mi dice: “Amico la
maggioranza dei campesinos non sa leggere e scrivere, riconoscono l’autobus dal
colore…” che bello questo mondo, la felicità e la semplicità della gente!
E’
il 31 dicembre, come da tradizione attendo l’arrivo del nuovo anno mescolandomi
con la moltitudine di persone che affollano le strade. Allo scoccare della
mezzanotte i fuochi d’artificio colorano il cielo, il nuovo anno è arrivato,
canti e balli allietano le strade di Antigua fino a tarda notte. Di buon
mattino mi regalo una bella colazione al Caffè Condesa, sotto i portici del
Parque Central qui, come d’altronde in tutta Antigua, si respira un'aria
magica: vecchi libri polverosi, strane lampade etniche, tovaglie dai caldi
colori si sposano idealmente con sapori speziati e pane caldo, il nuovo anno è
cominciato alla grande. Rientro in hotel e trovo il bus pronto per andare a
Panajachel.
Il piccolo pueblo si affaccia su un lago meraviglioso, il lago Atitlan. Una
stradina stretta e lunga, completamente invasa da negozietti turistici mi porta
al molo, le acque del lago di fronte a me sono mosse, ma le onde riflettono la
luce serena del cielo, completa il quadro una cornice fatta dalle cime verdi
dei vulcani. Se ne contano almeno quattro, la forma di ogni più piccolo rilievo
ne ricorda molti altri erosi dal tempo. Dopo una lenta navigazione arrivo a San
Pedro la Laguna e mi sistemo nel piccolo, ma delizioso hotel. I barcaioli giù
al molo, mi propongono la classica escursione ai piccoli pueblos del lago, mi
accordo con uno di loro per l’indomani.
La quiete e la serenità del lago sono coinvolgenti, vorrei starmene sdraiato
sull’amaca a godermi la giornata ma ho la barca prenotata pronta ad aspettarmi.
Insieme ad altri turisti comincio il tour tra le placide acque blu del lago ed
i vulcani inattivi a far da cornice. Prima sosta il pueblo di San Marco, qui su
tutte le pareti disponibili ci sono costruzioni: case, scuole, locali in genere
con dipinte direttamente sui muri scene che inneggiano a Dio, al suo amore per
gli uomini ed al fatto che sia l'unica speranza per la salvezza. Le donne
portano dei copricapo coloratissimi, la provenienza dai vari villaggi si
riconosce dai diversi addobbi che hanno in testa: nastri di differente colore,
strane trecce, cappelli con nappe o in velluto viola caratterizzano le donne
dei paesini che abbiamo visitato. Riprendo la barca e dopo una ventina di
minuti attracco a Santiago. Giro velocemente per le vie ed un gruppo di
ragazzini mi propone per pochi quetzal di conoscere Maximon, un fantoccio con
un cappello da cowboy, un sigaro in bocca e una bottiglia alcoolica tra le
mani, ospitato ogni anno in una diversa casa privata. Rappresenta un santone
che, in vita, elargiva grazie solo quando era ubriaco, per questo motivo lo si
prega offrendogli monete, candele ed ovviamente bottiglie di liquore.
Il
viaggio prosegue e dopo aver lasciato il lago Atitlan eccomi in Honduras! Sono
a due passi dal famoso sito archeologico di Copan, non posso perderlo! Passo la
frontiera e di colpo lo scenario cambia: gli edifici sono antichi ed in stile
coloniale, la gente del posto si muove anche a cavallo, caricandoli con sacchi
di riso, fagioli, farina. Le case sono tutte colorate e addobbate con piante e
fiori, la piazza centrale è formata da una caratteristica piazzetta con fiori,
fontane e qualche monumento Maya che riproduce le favolose estelas Maya di
Copan. Trascorro la serata bevendo una fresca birra in uno dei tanti
localini.
All'ingresso delle rovine di Copan, a dare il benvenuto al visitatore c'è un
grande plastico rappresentativo della antica città, e poi, subito si entra
attraverso un ingresso formato da un viale alberato, verso il centro
cerimoniale, ascoltando il verso dei pappagalli, e di molte altre specie di
volatiti che popolano il Parco Archeologico. Alla fine del vialone d'ingresso,
si apre la grande piazza, e si rimane con il fiato sospeso, per la presenza di
imponenti statue Maya (estelas). La mia guida inizia a raccontarmi la storia,
dei vari imperatori che con gli anni hanno dominato Copan, soffermandosi
sull'ultimo, ritenuto uno dei più esteti, stravaganti e artistici imperatori
Maya della storia. Diciotto Conigli, questo è il nome dello stravagante
imperatore. Lui stesso aveva incaricato molti lavori artistici durante il suo
regno, che rappresentano il "barocco" Maya. Le figure, i glifi, i
volti rappresentati sembrano uscire dalla pietra. Proseguo la visita
inoltrandomi nella rete di tunnel sotterranei, attraverso i quali si possono
ammirare le tombe di importanti imperatori. Sono addirittura 100 i kilometri di
tunnel sotto la città Maya, ma solo 5 km sono aperti al pubblico. Nonostante
gli spagnoli abbiano distrutto gran parte della documentazione necessaria per
decifrare i glifi, grazie a questi tunnel si apre una grande finestra sulla
civiltà Maya.
Ci
sono posti così belli che neanche ti aspetti, te ne hanno parlato, ma poi
quando li vedi con i tuoi occhi pensi: “Allora era tutto vero!”. Il posto si
chiama Finca Tatin e si trova nel mezzo della foresta tropicale di Livingston,
sulla costa caraibica del Guatemala. Dal fiume Tatin si scorge solo un piccolo
molo di attracco, un’altalena sospesa sull’acqua e una passerella di legno, che
la vegetazione sembra ingoiare. A descriverlo sembra un bel luogo per turisti
con lodge (molto spartani) dotati di bagno ed un salone d'ingresso con divani
ed amache. La Finca Tatin però ha qualcosa di più, vive in grande armonia con
la natura e le persone che la gestiscono non ti fanno mai sentire un cliente.
Un’armonia così perfetta che i colibrì si avvicinano e rimangono sospesi a
mezz’aria, che i ragni girano indisturbati per il bungalow senza arrecare
fastidio, che i pappagalli hanno costruito il loro nido nel salone d’ingresso.
Trascorro la prima sera rilassandomi sull’amaca.
Mi risveglio sotto una bella pioggia che dopo poco smette. La Finca ha organizzato un piccolo tour e dopo colazione visito dapprima i 7 altares, cascate divertenti ma niente di eccezionale, poi faccio una sosta a Livingstone dove trascorro circa un’ora girando per il piccolo pueblo. Pranzo ad Agua Calientes dove si trova una piccola caverna con sauna naturale.
Come
essere in Guatemala e non visitare Tikal? Detto, fatto. Dopo un breve viaggio
in autobus eccomi all’ingresso del sito archeologico. Tikal è il sito
archeologico più importante del Guatemala, ben conservato e famoso per
l'imponenza delle sue piramidi che sono avvolte nella foresta pluviale. Dicono
sia particolarmente suggestivo guardarlo all’alba, ma le previsioni per
l’indomani portano nuvoloso, decido quindi di non fare l’alzataccia alle 4.30
del mattino. Mai scelta fu più azzeccata. La sveglia tarda poco, poiché alle
6.30 sono già sulla piramide 4, il tempo resta nuvoloso, nessun panorama
mozzafiato ma il sito è davvero magico, emana un’energia particolare ed allora
cartina alla mano comincio la visita.
Tikal
è subito sorprendente, maestosa! Infatti è stata per tanti secoli la più
importante città Maya. Dopo essere stata abbandonata, per motivi non ancora
certi, nel IX secolo, la foresta l’ha risucchiata ed oggi solo il 15% è stato
riportato alla luce. Il sentiero battuto, si snoda per qualche chilometro
all'interno di un mondo verde, appaiono i primi altari maya, le prime stele ma
il bello deve ancora arrivare. Ecco Plaza Mayor: due altissime piramidi, il
tempio del Gran Giaguaro con i suoi 97 gradini e quello delle Maschere con 59,
si fronteggiano, maestosi, belli. La mente vaga e per un attimo chiudo gli
occhi facendomi trasportare indietro nel tempo…Riprendo il cammino attraverso
la foresta, le scimmie urlatrici mi tengono compagnia. Termino la prima fase
del giro, individuato come “complesso N”, e trovo forse il pezzo più importante
di Tikal. Un vecchio altare scolpito mostra due personaggi, uno Maya, l'altro
stranamente di sembianze asiatiche. Gli archeologi ancora oggi non hanno
trovato una spiegazione valida, sarà forse la prova di una connessione tra il
mondo oriente ed occidente? Con questo mistero insoluto lascio il sito
archeologico di Tikal e con esso anche il Guatemala. Adesso mi aspetta il
Belize.
E’ ora di pranzo quando arrivo alla frontiera e dopo aver espletato le lente e
macchinose pratiche burocratiche, riprendo un autobus che dopo altre due ore di
viaggio mi lascia al porto, giusto in tempo per l’ultimo water taxi delle
17.30. Piccola traversata ed eccomi a Caye Caulker. La vita qui è molto più
cara rispetto al Guatemala, il Belize è una “colonia” statunitense. Le piccole
strade sono in sabbia battuta, circolano solo poche macchine elettriche. Le
abitazioni sono piccole, basse e quasi tutte in legno, la spiaggia è stretta ma
il mare è davvero bello. La vita sull’isola ha un ritmo diverso, lento, felice.
Le attività da fare sono: sole, mare, snorkeling ed immersioni. Quest’ultime
sono uno dei punti di forza del Belize, infatti la barriera corallina è seconda
per estensione solo a quella australiana. Trascorro le giornate, tra ozio sotto
le palme e tranquille nuotate, le serate sono coccolate da ritmi reggae e
fresche birre. La gente del posto mi racconta che qui, a parte gli uragani, che
di tanto in tanto rovinano le coste, tutto scorre nell’armonia più grande. Gli
ultimi giorni mi concedo un’uscita in barca a vela. Il giro è stupendo,
accompagnato da un cielo senza nuvole, la barca fa tre soste: la prima dove si
vedono i coralli, la seconda dove si nuota con lo squalo nutrice e la terza
dove si incontrano le tartarughe marine.L’indomani sono di nuovo in barca e
questa volta dopo una ricca colazione parto per l'escursione ai Lamantini.
Arrivo alla riserva dopo circa un’ora e inizialmente mi delude un po', i
lamantini si nascondono tra le mangrovie e si possono vedere solo dalla barca.
Prima di rientrare sull’isola faccio una sosta lungo la barriera, è il momento
più bello, anche grazie all'intraprendenza del Capitano che oltre a mostrarmi
tutti i tipi di corallo richiama a sé diverse murene, alcune razze mi girano
intorno, su tutte primeggia la Eagle che apparsa dal nulla con i suoi
multicolori mi regala un attimo di gioia indescrivibile. Il viaggio volge al
termine e sotto una pioggia battente mi preparo al mesto rientro in patria. Un
viaggio stupendo, ricco di emozioni, gente incredibile e posti d’incanto. Qui
in questa piccola porzione del centroamerica ho lasciato un pezzo del mio
cuore. Sarà perché io forse ho l’animo latino, sarà forse perché adoro
l’allegria nelle persone, sarà forse perché con pochi soldi qui sei davvero
felice, resta il fatto che il Guatemala ed il Belize mi rivedranno di nuovo
camminare sulla loro terra.