Tris di K in Cambogia
Dopo l’esperienza sull’isola di Ko Ta Kiev, nel mio viaggio alla scoperta della Cambogia, si sono susseguite le città-villaggio di Kampot,Kep e Kampong Cham. Procediamo con ordine.
Kampot, piccola cittadina patria del Durian, tipico frutto esotico, dolcissimo, molto popolare qui in terra Khmer, popolare a tal punto da averne omaggiato la squisitezza con un monumento enorme posto nella piazza principale della cittadina. Di per sé la cittadina, a parte uno strabiliante e labirintico market, pieno di colori e odori tipicamente asiatici, non ha molto da offrire. Ma basta uno scooter per far scorrere le giornate riempiendosi gli occhi di immagini provenienti da un’altra epoca. Il primo giorno vado alla scoperta di una caverna e di un lago “segreto” , compiendo una cinquantina di km su strada sterrata, attraversando villaggi al limite dell’immaginazione per i miei occhi “occidentalizzati”.
Oggi viaggiare nel tempo è una pratica possibile, basta un aereo e magari qualche ora di bus per ritrovarsi in un’era caratterizzata dall’agricoltura, il culto dell’essenziale e la semplicità del quieto vivere. La mattinata vola così, in luoghi dove l’antropizzazione ha trovato un giusto equilibrio di co-esistenza con la natura circostante e personali riflessioni su quanto ciò che ora mi appare “superfluo” ricopra un ruolo fondamentale nella ricerca della felicità di chi vive nel cosiddetto “primo mondo”… Nel pomeriggio mi muovo nuovamente in sella al mio scooter, destinazione Kep, villaggio sul mare a 27 km da Kampot, a sua volta patria indiscussa del granchio. Mi siedo in un ristorante di fronte al mare e con 3 $ mi gusto 3 granchi appena pescati dalle gabbie in vimini posizionate dalle pescatrici cambogiane con abiti talmente vivaci e colorati che sembrano uscite da una delle migliori opere di Gauguin. Atmosfera unica, cibo squisito…
Dopo aver riconquistato lo scooter dalle mani curiose di una scimmia che, furba e ormai avvezza all’uomo chiede parte della mia personale provvista di banane in cambio delle chiavi del mezzo, mi spingo a Sud per godermi il tramonto sul mare, lontano da fastidi, sia umani che animali. Il giorno seguente, sempre in sella al fedele scooter, mi dirigo alle rovine di Bokor all’interno dell’omonimo parco nazionale, lascito dell’epoca coloniale della quale rimangono solo grandi ed isolati edifici, tra cui un ormai fatiscente casinò, dove i francesi benestanti passavano l’estate per scappare dalla calura di Phnom Phen. Il paesaggio circostante è affascinante e suggestivo, la strada tutte curve si spinge in alto fino ad essere a contatto con le nuvole, sensazione piacevolmente rinfrescante, contribuendo a rendere ancora più spettrale l’aspetto dei ruderi sparsi qua e là. Un altro salto nel tempo, la Cambogia vista da un’altra prospettiva, un tuffo nella Storia di un paese che tra colonialismo e il folle regime comunista di Pol Pot, negli ultimi 150 anni non ha trovato pace.
Dovevo passare giusto una notte a Kampot, alla fine saranno 3,e me ne vado con il “timore” di chi sa cosa lascia ma non sa cosa trova…Ma in questa zona remota di Cambogia non ci si stanca mai, così arrivo a Kampong Cham… più che a Kampong Cham arrivo alla guesthouse di Thomas, simpatico uomo cambogiano, vissuto in Francia tra gli anni 70 e 90 per scappare dagli orrori del regime Khmer. Più che una guesthouse, Thomas, ha messo a disposizione la sua casa e la sua affettuosa famiglia per tutti coloro che vogliano dare un autentico assaggio alla cultura locale. Vengo accolto la prima sera da una cena ricca di portate, condivisa con altri tre ospiti della struttura e la famiglia ospitante. La mattina successiva Thomas ci propone di andare con lui, a casa di un suo familiare, per assistere alla celebrazione dell’anniversario di un defunto della famiglia…accetto senza indugi.
Il rito è particolarissimo.
Come vuole la tradizione, il defunto è interrato nel giardino di casa sotto un tumulo, non è affatto raro in Cambogia vedere questo tipo di cimitero privato, infatti, le famiglie che possono permetterselo, sono autorizzate a tenere le spoglie dei propri cari nella loro proprietà. La celebrazione segue allegra e vivace, viene allestito un grande banchetto e, dopo aver riempito il cumulo di terra di nastri coloratissimi, ed aver bruciato vari oggetti tra cui soldi finti, case e macchine di cartone, da mandare nell’aldilà per allietare il soggiorno di chi non c’è più, tutti insieme seduti a terra ci gustiamo le varie specialità, godendo della squisitezza dei familiari che fanno di tutto per metterci a nostro agio, ripetendoci quanto si sentano fortunati ad averci come ospiti in una giornata così importante per loro. Sempre più immerso nella cultura, sempre più affascinato da questo popolo a cui possono mancare tante cose materiali, ma non la voglia di vivere con spirito, tradizione e l'immancabile sorriso sulle labbra. Il terzo giorno prendo la bici e, accompagnato da tre fanciulle, una olandese, una tedesca e una francese, mi dirigo sull’isola di Koh Pean, situata nel bel mezzo del Mekong, protagonista tutti gli anni di un fenomeno folcloristico alquanto particolare. Infatti, da tantissimi anni a questa parte, appena finita la stagione delle piogge, viene edificato un ponte interamente costituito da bambù, che collega l’isola alla terraferma. Un ponte talmente resistente da poter supportare il passaggio di auto e piccoli camion che fanno la spola per trasportare prodotti alimentari di qua e di là ogni giorno. Resistente sì...ma non abbastanza da sopportare la potenza del Mekong nella sua massima portata durante la stagione delle piogge, ed è così che ogni anno pazientemente se ne effettua la ricostruzione, ogni volta da capo. L’attraversamento in bicicletta è un’esperienza esilarante, tutta una vibrazione continua che non permette di proseguire dritti, che risate!
Approdati sull’isola veniamo catapultati per l’ennesima volta in una Cambogia autentica e fedele alle origini. Attraversiamo villaggi di capanne dove l’unico pedaggio richiesto al visitatore è un “Hello!” di risposta ai divertiti bambini per niente abituati alla vista di gente così diversa, i “Barang”, gli uomini occidentali. Paghiamo il “prezzo” con il sorriso e dopo un estenuante biciclettata alla scoperta dell’isola, ci godiamo un meritato bagno rinfrescante nelle acque del gigante asiatico. Una settimana di nuovi incontri e scambi interculturali, una full immersion nella Cambogia meno popolare ma più autentica, meno industrializzata ma più ricca, meno sviluppata ma più “avanti”.