Natale in Algeria
Un viaggio nel deserto è prevalentemente un viaggio di immersione totale nella natura, ma spesso accade che diventi, senza accorgersene, un viaggio dentro noi stessi.
Il giorno è il 24 dicembre ed è il primo di un giro di due settimane che, partendo da Tamanrasset , ci porterà in Niger, terra dei Tuareg; questo popolo di nomadi, chiamati anche uomini blu del deserto, ci accompagnerà lungo quasi tutto il tragitto, percorrendo il leggendario deserto del Ténéré , incontrando e accompagnando a piedi, a fianco dei Tuareg, le carovane di sale fino alle saline di Bilma ( un desiderio questo, che avevo da molto tempo, finalmente avverato) , per poi risalire di nuovo verso l’Algeria fino a Djanet.
Ho moltissimi episodi di questo viaggio meraviglioso, un viaggio che consideravo naturalistico e che si è invece rivelato uno dei viaggi etnici più belli che io abbia mai fatto. Mi soffermerò però solo su questo primo giorno di vigilia natalizia, perché si è rivelato essere la prefazione di un libro inaspettato ed incredibile fino all’ultima pagina, perché le cose più belle accadono sempre quando meno ce l’aspettiamo. Ci siamo, oggi è il primo giorno e c’è tutta l’emozione, tra eccitazione e timore, che accompagna ogni partenza; ci apprestiamo ad organizzare le 4 jeep, fare rifornimento di acqua potabile, contare e sistemare nelle vetture gli scatoloni pieni di vettovaglie: alimenti, pentole, fornello da campo, bombole. Un ultimo controllo per non rischiare di dimenticare qualcosa…e si parte!
La nostra “carovana” di jeep è finalmente partita. Lungo il percorso ecco il primo assaggio di ciò che aspettavamo con ansia: paesaggi di sabbia e roccia immensi, dove le distanze non si comprendono e ciò che sembra a portata di mano è in realtà lontanissimo. Lungo il percorso incontriamo le prime carcasse di Renault 4, mezzi utilizzati un tempo da giovani europei che si spingevano fino a qui, percorrendo parte della Bidon V, per puro spirito avventuroso o per spedizioni umanitarie, ma accomunati dallo stesso spirito: sfidare il deserto.
Mi trovo sulla terza jeep e, mentre con i miei compagni di viaggio continuo a godere e discutere del paesaggio circostante, la quarta vettura che chiude la carovana inizia a suonare insistentemente il clacson. Qualcosa non va e ci fermiamo per verificare. Una volta scesi dalle vetture constatiamo una perdita di liquidi, è una tanica dell’acqua. Il problema viene risolto, ma in questa sosta di circa 20 minuti ci accorgiamo di aver perso le altre due auto. Ripartiamo e proseguiamo a passo lento, mentre la jeep davanti la mia cerca di seguire le impronte dei pneumatici lasciate sulla sabbia per cercare di ritrovare gli altri componenti del gruppo, ma delle altre due vetture nemmeno l’ombra. E’ ormai pomeriggio inoltrato e i driver, saggiamente, decidono di cercare un luogo riparato per passare la notte, troppo pericoloso proseguire senza luce. Ci fermiamo al riparo, dietro una duna e, prima che il sole tramonti del tutto, io mi concedo una breve passeggiata solitaria.
E’ difficile descrivere la sensazione che ho provato. Il silenzio, rotto solo dai miei passi, e lo scenario che mi si presenta davanti agli occhi è incredibile. Lo era anche prima, ma ora lo è di più, perché finalmente lo sento anche sulla mia pelle, non più attraverso il vetro della macchina. Avverto subito la sensazione di respirare, intendo respirare veramente, riempiendo i polmoni e riempiendo la mente, perché si, anche la mente sembra respirare, “un pieno d’aria” che pare alleggerire tutti i pensieri , creando nuovi spazi prima inutilizzati, da colmare con nuove e sconosciute sensazioni. Mi sento libera e forte come un gigante onnipotente davanti a questo spettacolo che mi viene regalato, ma subito dopo pervasa da un senso di paura, consapevole di essere nulla in confronto a ciò che mi circonda, un granello di sabbia che può essere distrutto in qualsiasi momento dalla potenza della natura e penso: “ è impossibile, è tutto finto, ora cadono i cartelloni, si scoprono le luci e mi accorgo di essere su un set cinematografico”… è tutto bello, è veramente tutto troppo bello!
Ora è arrivato il buio e ritorno alla realtà, rientro al campo per montare la mia tenda e per preparare la cena con i miei compagni…già, la cena. Mentre i due driver si apprestano a preparare la loro cucina, a noi, semplici viaggiatori turistici, assale un grosso dubbio: “di tutti gli scatoloni in dotazione al gruppo, quale ci sarà toccato in sorte sulle nostre due jeep? cibo o pentole e bicchieri?”. Ci apprestiamo ad aprire lo scatolone, con quella eccitazione e speranza che solo i bambini hanno la vigilia di natale, quando aprono il pacco regalo sperando di trovare il gioco tanto desiderato, per noi è la stessa cosa. Apriamo la scatola e…meraviglia! La scatola è piena di insaccati, affettati e ogni altro ben di dio facilmente edibile anche senza cottura!
Nel frattempo gli autisti si apprestano a preparare la loro cena. Il primo autista spezzetta le verdure per poi cuocerle in un brodo, mentre il secondo inizia a preparare l’impasto per il pane. Ecco, il pane cotto sotto la sabbia non lo avevo mai visto. Una volta preparato l’impasto, esso viene posto in un piccola buca scavata nella sabbia, il panetto viene poi ricoperto con altra sabbia e cenere , quasi a voler creare un forno. Dopo circa un quarto d’ora, viene tolta la sabbia per girare il panetto…un profumo di pane che non riesci a sentire nemmeno nelle migliori panetterie!
Finita la cottura da entrambe le parti, il pane viene poi lavato per liberarlo dalla sabbia. Gli autisti ci invitano e ci offrono la loro cena e Immediatamente ci scordiamo delle nostre vettovaglie occidentali per assaporare la loro cucina e il loro mondo. Io continuo a mangiare, tra il silenzio che ci circonda e lo scricchiolio della sabbiolina tra i denti e penso:
Una zuppa di verdure.
Il pane cotto sotto la sabbia.
Una notte magica sotto le stelle nel cuore del deserto.
Non serve altro per saziare corpo e anima.
A me non serve nient’ altro.
Questa è la vigilia di Natale più bella della mia vita.