Ushuaia la Fin del Mundo e le Torri del Paine
Volevo andarci, vederla
con i miei occhi e viverla con le mie gambe, dormire in tenda per sentire sotto
la schiena le vibrazioni di una terra mai ferma. Volevo andare in Patagonia! La
terra che ha fatto innamorare tanti viaggiatori, esploratori, alpinisti e
scrittori di tutto il mondo. Il suo clima è unico, indecifrabile. Puoi
svegliarti con un sole cocente e cominciare a fare trekking in pantaloni corti
e t-shirt, ma poi di colpo vedere il cielo oscurarsi e trovarti in mezzo alla
neve con tanto vento da rendere difficoltoso anche il cammino. In Patagonia il
clima viene definito eccezionale quando è bello, normale quando piove o tira
vento. Il vento è costante dal Pacifico all’Atlantico. L’aria umida del
Pacifico si sposta, quindi, verso l’Atlantico e crea abbondanti precipitazioni
sul Cile, generando i grandi ghiacciai dello Hielo; va poi in caduta verso la
pampa patagonica e diviene sempre più secca fino a generare un clima ventoso e
desertico.
La mia grande avventura
parte da Ushuaia, la Fin del mundo, come recita il cartellone di benvenuto in
aeroporto. La fase di atterraggio è tra le più belle che abbia mai fatto:
l’aereo arriva vicinissimo, quasi a sfiorare le montagne, che hanno tutte le
cime innevate. Sotto c’è il Canale di Beagle, ma ecco che poi, come per magia,
appare la pista d’atterraggio.
Ushuaia sorge dove un
tempo vivevano gli indigeni Yahgan. Ancora oggi, arrivando in aereo, si possono
distinguere tracce della loro passata presenza, come i pozzi circolari o i
monti formati dalle conchiglie vuote dei molluschi, che gli indigeni mangiavano
in grandi quantità. La RN3, la Ruta National 3 termina qui, con un cartello che
recita: “Strada terminata. Fine del mondo”. L’ultimo pezzo di terra prima del
mare è il Parco Nazionale Tierra del Fuego.
Il tempo non è clemente, anzi oggi nevica, ma questo rende lo scenario ancora più bello. La Baia Lapataia sembra un luogo incantato, dove la natura selvaggia regna incontrastata. Dopo l’escursione al parco rientro in città e colgo l’occasione per fare un giro lungo la strada principale, piena di negozi di souvenir o di abbigliamento tecnico di montagna. Il porto turistico è a due passi e così ne approfitto per fare l’escursione in catamarano lungo il canale Beagle. Il tempo è piuttosto grigio ed il mare si increspa sempre di più man mano che ci si allontana dalla costa. Le cime innevate delle montagne ed il mare mosso regalano un’atmosfera degna di un film d’autore; il vento, anche se debole, è sempre presente. Su una piccola isola ci sono leoni marini, cormorani ed altri uccelli. Navighiamo fino al faro del “Fin del Mundo” ma il mare, sempre più agitato, fa decidere al comandante di rientrare in porto anzitempo. Peccato! Mi sarebbe piaciuto vedere la famosa Pinguinera, dove risiede una delle colonie più grandi dei pinguini di Magellano. Il mio breve soggiorno ad Ushuaia è così terminato. Adesso è tempo di scaldare i muscoli e partire per il grande trekking al parco del Paine. Rientro per l’ultima volta in hostel dagli amici Teodoro e Maria che, come cena di arrivederci, ci hanno preparato la famosa Centolla, il granchio di dimensioni giganti che esiste solo qui in Patagonia. Una vera bontà per il palato!
Sono le 4.30 del mattino
quando suona la sveglia, anche oggi piove e tira vento. Ancora sonnolente,
richiudo lo zaino e attendo il pulmino che mi accompagnerà fino alla città di
Rio Grande. Dopo aver attraversato le montagne che racchiudono Ushuaia, la
strada diventa una lunga e dritta lingua d’asfalto: su ambo i lati una
sconfinata pianura e in cielo non c’è più una nuvola. E’ circa mezzogiorno
quando l’autobus pubblico ferma alla frontiera di San Sebastian, sono al
confine col Cile. Controlli severissimi alla dogana ci fanno perdere molto
tempo. La strada per Puerto Natales, tappa finale della giornata, è ancora lunga.
Trascorre un’altra ora di viaggio ed arriviamo al famoso Stretto di Magellano,
un canale naturale di circa 600 km. Un'enorme chiatta, in soli venti minuti, ci
accompagna dall'altro lato dello stretto, la Tierra del Fuego è alle nostre
spalle. Riprendiamo la strada e, dopo ben tre ore di viaggio, arriviamo alla
meta finale della tappa odierna, Puerto Natales.
Si dice che la Patagonia sia uno stato d’animo e non un luogo, e io credo proprio che sia vero. Si percepisce fortemente il legame con la terra e, anche se ci sono cittadine moderne, si ha veramente la sensazione di essere in un luogo straordinario. Puerto Natales è una piccola città ben organizzata, la gente è cordiale e gentile. Da qui partono quasi tutti i trekking per il Paine, uno dei più bei parchi del Cile, considerato, a giusta ragione, l’ottava meraviglia naturale del mondo. Il parco è situato su un fondovalle praticamente al livello del mare ed è abitato da guanacos, volpi, condor e aquile; qui si trovano picchi rocciosi alti più di 3.000 metri, laghi azzurri, cascate e torrenti impetuosi. Arriviamo al molo del lago Pehoe nelle prime ore del pomeriggio, da qui parte l’imbarcazione che accompagna i visitatori al camp Paine Grande. Purtroppo l’unico traghetto parte alle 18 e allora, nell’attesa, decido di fare un piccolo giro intorno al molo, scoprendo un’immensa cascata che si riversa nel lago creando paesaggi incredibili. Il posto è meraviglioso ed il camping è attrezzato con bagni e sala comune. Sistemo la tenda in un enorme spazio verde, di fronte i meravigliosi Cuernos.
La prima notte in tenda
trascorre serena e, anche se fa freddo, il sacco a pelo mi tiene caldo. Le
prime luci dell’alba filtrano attraverso la tenda, apro la cerniera, dinanzi a
me il cielo si presenta completamente limpido, vento leggero e temperatura
perfetta. Non potevo chiedere di meglio! Comincio il trekking verso il
ghiacciaio Grey, godendo appieno degli splendidi paesaggi. Il percorso non è
impegnativo, decido quindi di spingermi oltre il mirador classico e arrivo a
ridosso del ghiacciaio posto circa ad un’ora di cammino dopo il camp Grey. La
vista sul ghiacciaio è superlativa, resto immobile a godere lo spettacolo di
Madre Natura pensando che in fondo non c’è nulla di più nobile e bello che
sentirsi inermi di fronte a tanta bellezza! La Patagonia è davvero una terra
straordinaria dove regna la natura selvaggia, dove la vegetazione è bassa, il
vento soffia forte e costante e gli animali vivono nel loro habitat
naturale senza essere disturbati.
Dormire in tenda ai piedi dei Cuernos è un’esperienza stupenda, sono nel mio sacco a pelo ed il vento fa sentire forte la sua presenza. Trascorsa la notte ripartiamo presto per l'accampamento italiano. Arriviamo che sono appena le 11.30 e decidiamo di montare subito le tende prima di ripartire verso la Valle Francès. La giornata è splendida, il sole ci regala viste fantastiche del lago Nordenskjold. Il cammino verso la Valle Frances è meraviglioso: ovunque mi giro, vedo montagne con creste vertiginose, ghiacciai e torrenti, insomma la natura esplode in tutta la sua bellezza. Effettuiamo la salita senza zaino e questo ci aiuta moltissimo. Attraversiamo un bosco fiabesco con immensi alberi di acero; l’ultimo tratto che porta all’ennesimo mirador è molto ripido, ma mai tanta fatica fu premiata con tanta bellezza! La vista a 360° è impareggiabile, i maggiori picchi del Paine sono in bella vista. Ridiscendo a valle con passo lento, voglio gustarmi il panorama, dopo qualche ora sono nuovamente alla Valle Frances, resto immobile a contemplare la natura. Sono avvolto da una sensazione quasi mistica, non riesco a descrivere a parole la bellezza di questo luogo. L'accampamento non ha docce, nessun servizio, solo alcuni bagni alla turca.
Smontiamo nuovamente le
tende ripartendo per il camping Las Torres, ultima tappa del trekking. La
distanza questa volta è davvero notevole, ovvero circa 19km, considerato che
dovremo camminare con gli zaini a pieno carico. Arriviamo a destinazione dopo
ben 7 ore, stanchi ma contenti.
Il grande giorno è arrivato, sono curioso di osservare da vicino le famigerate tre Torri del Paine. La lunga salita si snoda dapprima lungo un canyon, dove si trova l'accampamento cileno, poi si prosegue verso il belvedere del Salto Grande, la poderosa cascata che sembra sgorgare direttamente dalle viscere delle Torri. Nuvole di tempesta sembrano minacciare la visione delle torri, ma questo sembra solo aggiungere fascino e suggestione prima della lunga salita al mirador Paine. Sono da solo, seguo il mio percorso mentale per godere, in questa totale solitudine, l’incomparabile spettacolo della natura. La cattedrale di Madre Natura sembra chiamarmi in preghiera: di colpo le nuvole, come per magia, si dissolvono completamente, il lago color verde turchese completa la cornice da cartolina. Sono commosso da tanta bellezza!
Sono trascorsi circa dieci giorni dal mio arrivo in Patagonia e la sensazione di trovarmi a casa è sempre più forte. I paesaggi da cartolina uniti al vento che sembra accarezzarti le guance e l’aria tanto pulita che ad ogni respiro sembra purificare i polmoni, lasciano appiccicata sulla pelle sensazioni difficili da raccontare. Ho lasciato la deliziosa città di Puerto Natales in Cile, l’autobus adesso è diretto in Argentina, ad El Calafate, piccola città che sorge lungo le sponde dell’immenso lago Argentino. Resterò qui per le prossime due notti, il tempo necessario per visitare i famosi ghiacciai e recuperare dalle fatiche del trekking al Paine. Non perdo tempo ed il giorno seguente al mio arrivo sono sul catamarano per osservare da vicino questi immensi ghiacciai. E’ un’escursione molto turistica, ma purtroppo è anche l’unico modo per poter osservare il famoso Upsala, così pericoloso che la distanza di sicurezza in barca è di circa un chilometro, e lo Spegazzini, ghiacciaio decisamente più piccolo ma anche più affascinante. Quest’ultimo sembra essere scolpito da uno scultore, le sue forme si incastonano alla perfezione alla natura circostante. Il catamarano riesce ad arrivare a poche decine di metri di distanza; piccoli blocchi di ghiaccio si distaccano continuamente creando un boato fragoroso. Tutti in barca siamo in silenzio, ascoltiamo oltre che guardare questo spettacolo della natura.
La vera star del lago Argentino è però il Perito Moreno: una distesa di chilometri bianca e blu dove il ghiaccio si trasforma in vere e proprie sculture. I blocchi di ghiaccio che si distaccano continuamente sono grandi come edifici, dapprima un forte rimbombo si disperde nell’immensità glaciale e poi il crollo dei blocchi ghiacciati che si staccano e cadono in acqua galleggiando nel lago. I suoi numeri fanno rabbrividire: ha una superficie di 250 chilometri quadrati, una lunghezza di circa 30 chilometri e un’altezza massima di 170 metri, di cui circa 70 sopra la superficie del mare. Il Perito Moreno è la terza più grande riserva di acqua dolce al mondo.
Dall’Italia avevo prenotato il mini trekking sul ghiacciaio, ossia una breve camminata che permette di salire su questo mostro di ghiaccio in completa sicurezza. Purtroppo il giorno dell’escursione il meteo non è bellissimo, ma poco importa, l’emozione di vedere con i propri occhi il Perito Moreno è incontenibile. Appena arrivati le guide ci fanno una serie di raccomandazioni ed una breve spiegazione su come comportarsi durante la camminata, indossiamo i ramponi, o forse è più corretto dire delle staffe di ferro con punte chiodate che vengono agganciate alle scarpe con dei lacci. Il giro sul ghiacciaio è breve, ma è interessante osservare da vicino queste incredibili sculture di ghiaccio ed i piccoli crepacci, da cui escono rivoli di acqua gelata. Finito il giro, le guide ci offrono cioccolata con whisky, tutto molto turistico, ma al diavolo, ogni tanto essere coccolati e rilassati nel vedere qualcosa non guasta. Trascorro il pomeriggio oziando per le vie di El Calafate e prenoto la cena in uno dei tanti ristoranti del centro città. In questi due giorni mi sono rigenerato e soprattutto ho ripreso le forze per affrontare il trekking al parco Los Glaciares.